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LETTERA

DELL’AUTORE

AL BETTINELLI.

Scrittagli l’anno 1751 da Turino, mandandogli
la presente Commedia1.


D
APPOICHÈ pare a voi che la Putta Onorata possa apportarvi qualche utilità coll’essere data al pubblico, io voglio compiacervi anche di questa, quantunque non abbia quella opinione di essa, che voi avete. Sia stata qual si voglia la sua riuscita sul Teatro, non potrà certamente ritrovare quel gradimento fra’ Leggitori fuori di Venezia, che ritrovò fra gli Spettatori sulle Scene Veneziane. Otto personaggi, che dentro vi favellano nel nativo linguaggio di quella Città, mi fanno dubitare che perdendosi nella non bene intesa lingua il sapore de’ sentimenti, rimanga scipita e forse rincrescevole. Nè mi sgomenterei gran fatto, se la favella in essa usata fosse stata tratta dal parlare degli uomini colti, perciocchè non si discosterebbe lungo tratto da quella, che per tutta l’Italia è intesa; ma avendo io in più luoghi imitato le azioni e i ragionamenti della minuta gente, mi convenne attenermi a que’ modi di dire, che più a tal qualità di persone si confanno. È a ciascheduno palese, quanto sia diverso in ogni Città il ragionare degli uomini qualificati, da quello delle genti d’altra condizione e che queste ultime sì dagli altri lo hanno diverso, che quasi nati sembrano in altro Paese; perciocchè oltre alla differenza di molti vocaboli e della pronuncia ancora, hanno altresì certe forme particolari o di sentenze, o di proverbi, o di diciture in gergo, che piacevolissime sono a chi le intende, ma riescono a chi non è più che pratico oscurissime. Fra tutti quelli che hanno grandissima copia di sì fatte forme di favellare,
  1. Così nell’ed. Paperini di Firenze, t. IX (1755).