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LA PUTTA ONORATA 503

Menego. Sangue de diana, che me faressi vegnir caldo.

Pasqua. Via, caro mario, no andè in colera. Vogième ben, che son la vostra vechieta.

Menego. Se avesse perso un fio bon, me la lassarave passar: ma averghene trova un cativo, la me despiase. Quanto giera megio che avessi tasesto, e che l’avessi lassa andar in tanta malora. (a donna Pasqua, e parte)

Lelio. Questo mio padre mi vuole un gran bene.

Pasqua. Col tempo el ve vorà ben.

Lelio. O bene o male, poco m’importa. Mi pare di esser rinato. Il dover far da signore mi poneva in una gran soggezione. Non vedo l’ora di buttar via questa maledetta perrucca. (parte)

Pasqua. Voleva taser, ma no ho podesto. A la fin, son so mare; e se perdo sto fio, no so se ghe n’averò altri. Chi sa! Se poderave anca dar. No son tanto vechia; e el mio caro Menego me vol ben. Causa sto mio fio, che no se avemo malistentea vardà; ma dopo cena me lo chiapo, e me lo strucolo co fa un limon. (parte)

SCENA XXV.

Altra camera del marchese Ottavio con lumi.

Il marchese Ottavio e la marchesa Beatrice, mascherata come sopra.

Ottavio. Via, la mia cara Bettina, siate buona, non siate così austera con me, che vi voglio tanto bene. Di che avete paura? Orsù, conosco la vostra modestia; mi è nota la vostra onoraratezza. So che sdegnate di amoreggiare un ammogliato; e so che fin tanto che io non son libero, sperar non posso la vostra grazia. Non dubitate. Ve lo confido con segretezza. Mia moglie ha una certa imperfezione, per cui morirà quanto prima. (Convien lusingarla per questa strada). (da sè)

  1. Appena.