Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/598

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588 ATTO SECONDO

Pasqualino. Ti me dà i manini?

Bettina. T’ho dao el cuor, no ti vol che te daga i manini?

Pasqualino. E ti ti vol star senza?

Bettina. Cossa m’importa a mi? Fazzo più capital de mio mario, che de tuto l’oro del mondo.

Pasqualino. Cossa dirà la zente?

Bettina. Che i diga quel che i vol. Se ti vien a casa ti, no me scambio con una rezina.

Pasqualino. Povera Betina!

Bettina. Caro el mio caro mario.

Pasqualino. E pur te vogio ben.

Bettina. Distu dasseno, anema mia?

Pasqualino. Sì, cara; lassa che te abrazza.

Bettina. Benedeto el mio Pasqualin. (si abbracciano)

SCENA XXIII.

Lelio e detti.

Lelio. Bravi! Me ne rallegro; evviva!

Bettina. Via sior, el xe mio mario; cossa diressi?

Lelio. E non vi vergognate a dar in simili debolezze? Far carezze alla moglie in pubblico, che tutti vedono?

Pasqualino. Perchè? Coss’hogio fato de1 mal?

Bettina. Son so mugier.

Lelio. Non sapete che in oggi un marito che accarezzi la moglie si rende ridicolo?

Bettina. Caro sior, la tenda a far i fati soi, che la farà megio.

Lelio. A voi non bado. Pasqualino, sentite, v’ho da parlare. (lo tira in disparte)

Pasqualino. Son qua.

Bettina. Vogio sentir anca mi.

Lelio. Vedete! Le donne quando si vedono accarezzate, dicono subito quella bella parola: voglio.

  1. Zatta: falo mal?