Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/114

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per mio padre, per non inquietarlo, e per non far creder che io sia quel discolo e disattento che mi vogliono far comparire). (il mette a scrivere e conteggiare)

Ottavio. (Si accosta al tavolino di Florindo e si pone a sedere vicino al medesimo). E bene, Florindo, figliuolo mio, state bene? Avete bisogno di nulla?

Florindo. Caro signor maestro, in grazia lasciatemi stare.

Ottavio. Se avete bisogno d’assistenza, son qui, tutto amore, tutto carità. La vostra signora madre m’ha raccomandato voi spezialmente.

Florindo. Caro signor maestro, so benissimo ch’ella vi ha detto che non mi facciate affaticare troppo, che non mi gridiate e non mi disgustiate.

Ottavio. E chi ve l’ha detto, figliuolo mio?

Florindo. Il servitore di casa, che l’ha sentita.

Ottavio. (Poca prudenza delle madri far sentir queste cose alla servitù). (da sè)

Florindo. Caro signor maestro, vi torno a dire, lasciatemi star per ora.

Ottavio. Ma si può sapere che cosa state scrivendo?

Florindo. Signor no. Faccio una cosa, che voi non l’avete da vedere.

Ottavio. Di me vi potete fidare.

Florindo. No; se lo saprete, lo direte a mio padre.

Ottavio. Non farò mai questa cattiva azione.

Florindo. Se mi potessi fidare, vorrei anco pregarvi della vostra assistenza.

Ottavio. Sì, caro il mio Florindo, sì, fidatevi di me e non temete. Ditemi, avete tabacco?

Florindo. Sì; eccolo. (tira fuori la tabacchiera)

Ottavio. Mettetene un poco nella mia scatola. Già voi non ne prendete. Mettetelo tutto.

Florindo. Volentieri, eccolo tutto.

Ottavio. Oh bravo! Via, ditemi il vostro bisogno.

Florindo. Io per dirvela, stava scrivendo una lettera amorosa.

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