Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/133

Da Wikisource.

125

Pantalone. A monte, a monte. Via, siori, andeve a vestir; andè fora de casa col sior maestro.

Lelio. La signora madre non vuole che Florindo venga con me.

Beatrice. Signor no, non voglio. Non siete buono da altro, che da dargli mali esempi.

Lelio. Oh, la signora madre gli dà dei buoni consigli.

Beatrice. Sentite che temerario!

Lelio. La verità partorisce odio.

Pantalone. Vustu taser?

Lelio. Ho il gozzo pieno; mi sento crepare.

Pantalone. Se no ti tasi, te dago una man in tei muso. Va via de qua.

Lelio. (Oh, se fosse viva mia madre, non anderebbe così). (da sè, parte)

Pantalone. Via, sior, andè anca vu. Vestive, ch’el maestro ve aspetta. (a Florindo)

Beatrice. Ma se non voglio che vada con Lelio...

Pantalone. Vu impazzevene in te le scuffie, e a mi me tocca a regolar i mi floi. Anemo, destrigheve. (a Florindo)

Florindo. Io altro non desidero che obbedir il signor padre.

Pantalone. Sior sì, sior sì, ghel diremo.

Florindo. Mi preme unicamente il vostro amore.

Beatrice. Sentitelo se non innamora con quelle parole.

Pantalone. Belle, belle, ma i vol esser fatti.

Beatrice. Che fatti? Cosa volete ch’egli faccia?

Pantalone. Studiar e far onor a la casa.

Beatrice. Oh per studiare, studia anche troppo.

Pantalone. Anca troppo? E lo disè in fazza soa? Sentistu cossa dise to mare? che ti studi troppo. Ma mi, che son to pare, te digo che se no ti studierà, no ti magnerà. Che se no ti me obbedirà, saverò la maniera de castigarte. Animo, va dal sior maestro, obbedissilo; e fa quel ch’el te dise.

Florindo. (Sarà facile ch’io l’obbedisca, mentr’è un maestro fatto apposta per uno scolaro di buon gusto, come son io). (da sè, parte)