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ATTO TERZO.

SCENA VI.

Camera con tre porte, due laterali ed una in prospetto.

Il Cavaliere da una porta laterale, il Dottore dall’altra laterale: ognuno parla verso la porta di dove esce, senza vedere quell’altro, e s’incontrano poi nel mezzo della scena.

Cavaliere. Sì signora, son qui per sostenere le vostre parti.

Dottore. Si rimetta in me, lasci fare a me.

Cavaliere. Il Dottore non averà la temerità d’opporsi.

Dottore. Il signor Cavaliere non mi fa paura.

Cavaliere. Lo troverò. (vede il Dottore,)

Dottore. Oh diavolo. (cedendo il Cavaliere)

Cavaliere. Signor Dottore, pensate a rendermi conto dell’ingiurie che ho ricevute.

Dottore. Da me non ha V. S. ricevuto ingiuria alcuna.

Cavaliere. Le ho ricevute dalla dama, e voi, che avete preso le di lei parti, voi siete in obbligo di darmi soddisfazione.

Dottore. Colla spada sarà difficile, perchè io non la so maneggiare.

Cavaliere. Non ve la passate in barzellette.

Dottore. Caro signor Cavaliere, giacchè siamo qui soli, e che nessuno ci sente, mi permette ch’io gli dica quattro parole da uomo, da suo servitore e da buono amico?

Cavaliere. Dite pure, v’ascolto.

Dottore. Prima di tutto, torno a dirgli, non sono uomo da spada, ma da toga, nè so che razza di soddisfazione da me V. S. possa pretendere. Ma quando ancora fossi in caso di battermi, o facessi supplire ad un altro in vece mia, cosa intenderebbe ella concludere con tal duello? Se gli preme l’onore di questa