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446 ATTO PRIMO

Conte. La mia signora sposa, quanto meno mi vede, più mi vuol bene; non è egli vero? (a Rosaura)

Rosaura. Io non contraddico mai1.

Conte. (Già ha da finire i suoi giorni sopra d’una montagna!) Schiavo suo. (parte)

Beatrice. Andiamo nella mia camera, che aspetteremo vostro zio.

Rosaura. Cara amica, sono in un mare di confusioni.

Beatrice. Il signor Alberto pare di voi innamorato.

Rosaura. Ma se domani mi parla contro, ho perduta la causa.

Beatrice. Voglio che domattina andiamo a ritrovare la signora Flaminia, e se ci riesce di parlare al signore Alberto, può essere che si volti a vostro favore.

Rosaura. Io l’ho per impossibile.

Beatrice. Eh! amore fa fare delle belle cose.

Rosaura. Sì, ma io non son quella che lo possa innamorare a tal segno.

Beatrice. Via, via, non dite così; avete due occhi che incantano; s’io fossi un uomo, v’assicuro che mi fareste precipitare. (parte)

Rosaura. L’amica scherza, ed io ho il cuore afflitto. Domani si decide dell’esser mio; ma pure questa non è la maggiore delle mie passioni. Due oggetti, uno d’amore, l’altro di sdegno, combattono a vicenda il mio cuore. Amo Alberto, odio il Conte. Ma, oh dio! Dovrò perdere quello che adoro, dovrò sposare quello che aborrisco? Miserabile condizion della donna!2 Nacqui per penare, vivo per piangere, e morirò per non poter più resistere. Alberto, oh! caro Alberto. Sei pur vago, sei pur grazioso! Mi piaci ancorchè nemico, ti amo, benchè tu mi voglia miserabile, e ti amerei, se tu mi volessi ancor morta3. (parte)

Fine dell’Atto Primo.


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  1. Bett. e Pap. aggiungono: «a quello che dice lei. Cont. (Se potessi avere i Ventimila ducati senza costei!) Schiavo divoto. Beatr. Serva sua. Cont. (Già ha da finire ecc.)».
  2. Bett. e Pap. aggiungono: Miserabilissima condizion di Rosaura!
  3. Bettin. e Paper. aggiungono: Ti adoro, benchè tu tenti privarmi delle mie sostanze, e ti adorerei, se tu mi volessi strappare ancora dal seno il cuore.