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L'EREDE FORTUNATA | 567 |
ciecare dalla gelosia, senza riflettere all’offesa che fate alle persone d’onore, senza considerare al vostro decoro, e senza prima assicurarvi del fondamento? Io sono una figlia onorata. Sono una sventurata amante d’Ottavio. Florindo mi perseguita, m’insidia, mi calunnia, mi vuole precipitare. Chiamo in soccorso il signor Lelio vostro consorte; egli per pietà, per cavalleria, mi promette assistenza, e voi lo rimproverate, e voi così mi mortificate? E di lui e di me così ingiustamente ardite di sospettare? Pensateci meglio; vergognatevi di voi medesima; mutate costume, se non volete vivere da insana e morire da disperata. (parte)
SCENA XIX.
Beatrice, poi Lelio.
Beatrice. Questa volta dubito di essermi veramente ingannata. Finalmente non ho veduto cosa di conseguenza. Ma quel mio marito non ha niente di giudizio... Però, per dir vero, lo tormento un po’ troppo... Non vorrei tirarlo a cimento... Se mi perde l’amore e mi abbandona?... È capace di farlo... Orsù, bisogna raddolcirlo un poco, andargli colle buone, e vedere di far la pace. Eccolo che ritorna.
Lelio. Signora consorte gentilissima, abbiamo tutti due a mutar vita. Io vivrò da eremita, e voi vivrete da ritirata. Le vostre gioje e i vostri abiti più non hanno a servir niente. Queste sono le chiavi dello scrigno e della guardaroba; ecco ch’io le ripongo in tasca, e non isperate di vederle mai più.
Beatrice. Come! I miei abiti? Le mie gioje?
Lelio. Voi siete gelosa di me; io sono geloso di voi. Voi temete ch’io mi renda colla cortesia troppo amabile; io temo che voi coll’abbellirvi siate troppo vezzosa.
Beatrice. (Questo è un colpo mortale!) (da sè) Ma io, se mi mostro di voi gelosa, lo fo perchè vi voglio bene.
Lelio. Ed io, perchè vi amo teneramente, penso a custodirvi con tal cautela.
Beatrice. Ah, voi volete vendicarvi di me.