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L'EREDE FORTUNATA 595

Ottavio. Prima che vostro nipote avesse la signora Rosaura, egli o io perduta avremmo la vita. (al Dottore)

Trastullo. Non vede, signor padrone, quanto è stato meglio l’averla accomodata così? Quanto gli faranno più pro quei diecimila ducati... (al Dottore)

Dottore. Non sono miei, sono di mio nipote.

Pancrazio. Ne avrete ancor voi la vostra parte.

Dottore. Signor Pancrazio, siate ancor voi discreto. Godetevi la pingue eredità, ma... Non so se mi capite.

Trastullo. Via, signor Pancrazio, sia generoso col signor Dottore; è galantuomo.

Pancrazio. Aspettate, in questa borsa vi è il resto di tremila zecchini; son cento ottanta, e non so che: cento pel signor Dottore e ottanta per Trastullo. Siete contenti? (dà la borsa al Dottore)

Dottore. Ottanta per Trastullo son troppi.

Trastullo. Fate voi, io mi rimetto. (al Dottore)

Dottore. Ci aggiusteremo, basta che non lo sappia Florindo.

SCENA ULTIMA.

Lelio, Beatrice, Fiammetta, Arlecchino e detti.

Lelio. Evviva gli sposi.

Beatrice. Mi rallegro con la signora cognata.

Rosaura. Rallegratevi veramente meco, se voi mi amate; poichè la più felice, la più lieta femmina non vi è di me in questo mondo.

Fiammetta. Anch’io me ne consolo, signora padrona.

Arlecchino. E mi niente affatto.

Rosaura. Niente! Perchè?

Arlecchino. Perchè le vostre consolazion non le remedia le me disgrazie. Vu sì contenta col matrimonio, e mi son desperà, perchè Fiammetta no me vol.

Rosaura. Perchè, poverino, non lo vuoi? Non vedi che è tanto buono?