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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 223

Ridolfo. Gliel’ordini con premura, che lo farà da suo pari.

Eugenio. Ditemi, vi dà l’animo di farmi un caffè, ma buono? Via, da bravo. (a Ridolfo)

Ridolfo. Quando mi dia tempo, la servo. (va in bottega)

Don Marzio. (Qualche grand’affare. Son curioso di saperlo). (da sè)

Eugenio. Animo, Pandolfo, trovatemi questi trenta zecchini.

Ridolfo. Io ho un amico che li darà; ma pegno e regalo.

Eugenio. Non mi parlate di pegno, che non facciamo niente. Ho quei panni a Rialto, che voi sapete; obbligherò quei panni, e quando li venderò, pagherò.

Don Marzio. (Pagherò. Ha detto pagherò. Ha perso sulla parola). (da sè)

Ridolfo. Bene; che cosa vuol dar di regalo?

Eugenio. Fate voi quel che credete a proposito.

Ridolfo. Senta; non vi vorrà meno di un zecchino alla settimana.

Eugenio. Un zecchino di usura alla settimana?

Ridolfo. (Col caffè) Servita del caffè. (ad Eugenio)

Eugenio. Andate via. (a Ridolfo)

Ridolfo. La seconda di cambio.

Eugenio. Un zecchino alla settimana? (a Pandolfo)

Ridolfo. Per trenta zecchini, è una cosa discreta.

Ridolfo. Lo vuole o non lo vuole? (ad Eugenio)

Eugenio. Andate via, che ve lo getto in faccia. (a Ridolfo)

Ridolfo. (Poveraccio! Il giuoco l’ha ubbriacato). (da sè, porta il caffè in bottega)

Don Marzio. (S’alza e va vicino ad Eugenio) Signor Eugenio, vi è qualche differenza? Volete che l’aggiusti io?

Eugenio. Niente, signor don Marzio: la prego lasciarmi stare.

Don Marzio. Se avete bisogno, comandate.

Eugenio. Le dico che non mi occorre niente.

Don Marzio. Messer Pandolfo, che avete voi col signor Eugenio?

Ridolfo. Un piccolo affare, che non abbiamo piacere di farlo sapere a tutto il mondo.