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230 ATTO PRIMO


non vedono il marito in casa, pensano cento cose, una peggio dell’altra. Avrà pensato, o che io fossi con altre donne, o, che fossi caduto in qualche canale, o che per i debiti me ne fossi andato. So che l’amore, ch’ella ha per me, la fa sospirare; le voglio bene ancor io, ma mi piace la mia libertà. Vedo però che da questa mia libertà, ne ricavo più mal che bene, e che se facessi a modo di mia moglie, le faccende di casa mia andrebbero meglio. Bisognerà poi risolversi, e metter1 giudizio. Oh, quante volte ho detto così! (vede Lisaura alla finestra) (Capperi! Grand’aria! Ho paura di sì io, che vi sia la porticina col giuocolino). Padrona mia riverita.)

Lisaura. Serva umilissima.

Eugenio. È molto, signora, che è alzata dal letto?

Lisaura. In questo punto.

Eugenio. Ha bevuto il caffè?

Lisaura. È ancora presto. Non l’ho bevuto.

Eugenio. Comanda che io la faccia servire?

Lisaura. Bene obbligata: non s’incomodi.

Eugenio. Niente, mi maraviglio. Giovani, portate a quella signora caffè, cioccolata, tutto quel ch’ella vuole: pago io.

Lisaura. La ringrazio, la ringrazio. Il caffè e la cioccolata la faccio in casa.

Eugenio. Avrà della cioccolata buona.

Lisaura. Per dirla, è perfetta.

Eugenio. La sa far bene?

Lisaura. La mia serva s’ingegna.

Eugenio. Vuole che venga io a darle una frullatina?

Lisaura. È superfluo che s’incomodi.

Eugenio. Verrò a beveria con lei, se mi permette.

Lisaura. Non è per lei, signore.

Eugenio. Io mi degno di tutto; apra, via, che staremo un’oretta insieme.

Lisaura. Mi perdoni, non apro con questa facilità.

Eugenio. Ehi, dica, vuole che io venga per la porta di dietro?

  1. Bett.: far.