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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 233

Placida. Di tutto.

Eugenio. Anche di compagnia?

Placida. Di questa non avrei bisogno, se mio marito non mi avesse abbandonata.

Eugenio. La solita canzonetta: mio marito mi ha abbandonata. Di che paese siete, signora?

Placida. Piemontese.

Eugenio. E vostro marito?

Placida. Piemontese egli pure.

Eugenio. Che faceva egli al suo paese?

Placida. Era scritturale d’un mercante.

Eugenio. E perchè se n’è andato via?

Placida. Per poca volontà di far bene.

Eugenio. Questa è una malattia che l’ho provata anch’io, e non sono ancora guarito.

Placida. Signore, aiutatemi per carità. Sono arrivata in questo punto a Venezia. Non so dove andare, non conosco nessuno, non ho danari, son disperata.

Eugenio. Che cosa siete venuta a fare a Venezia?

Placida. A vedere se trovo quel disgraziato di mio marito.

Eugenio. Come si chiama?

Placida. Flaminio Ardenti.

Eugenio. Non ho mai sentito un tal nome1.

Placida. Ho timore che il nome se lo sia cambiato.

Eugenio. Girando per la città, può darsi che, se vi è, lo troviate.

Placida. Se mi vedrà, fuggirà.

Eugenio. Dovreste far così. Siamo ora di carnovale; dovreste mascherarvi, e così più facilmente lo trovereste.

Placida. Ma come posso farlo, se non ho alcuno che mi assista? Non so nemmeno dove alloggiare.

Eugenio. (Ho inteso, or ora vado in pellegrinaggio ancor io). (da sè) Se volete, questa è una buona locanda.

Placida. Con che coraggio ho da presentarmi alla locanda, se non ho nemmeno da pagare il dormire?

  1. Bett. e Pap.: codesto nome.