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338 | ATTO PRIMO |
Dottore. (Ora l’aggiusterò io). (da sè) Signor Ottavio, gli do nuova che ho fatta sposa Rosaura mia figlia.
Ottavio. Me ne rallegro infinitamente. (Lo sposo è aggiustato1 bene). (da sè
Dottore. Ora mi resta da collocare Beatrice.
Ottavio. Non durerà fatica a trovarle marito.
Dottore. So ancor io che ci sarà più d’uno che aspirerà ad esser mio genero, poichè non ho altro che queste due figlie, e alla mia morte tutto sarà di loro; ma siccome il signor Ottavio più e più volte ha mostrato della premura per Beatrice, dovendola maritare, la darò a lui piuttosto che ad un altro.
Ottavio. Vi ringrazio infinitamente. Non sono più in grado di ricevere le vostre grazie.
Dottore. Che vuol ella dire? Pretende di voler vendicarsi della mia negativa? Allora non era in grado di maritarla: ora mi ritrovo in qualche disposizione.
Ottavio. La dia a chi vuole. Io non sono in caso di prenderla. (con alterezza
Dottore. V. S. parla con tal disprezzo? Beatrice è figlia d’un ciabattino?
Ottavio. È figlia d’un galantuomo; ma degenerando dal padre, fa poco conto del suo decoro.
Dottore. Come parla, padron mio?
Ottavio. Parlo con2 fondamento. Dovrei tacere, ma la passione che ho avuta per la signora Beatrice e che tuttavia non so staccarmi dal seno, e la buona amicizia che a voi professo, mi obbliga ad esagerare così e ad illuminarvi, se foste cieco.
Dottore. Ella mi rende stupido e insensato. Che mai vi è di nuovo?
Ottavio. Sia quello ch’esser si voglia, non vo’ tacere. Le vostre due figlie, la scorsa notte, dopo aver goduta una3 serenata, hanno introdotto un forastiere nella loro casa, con cui cenando e tripudiando, hanno consumata la notte.