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lite al tribunale, e gli recita un suo sonetto che quegli riferisce verso per verso ai casi suoi (A. I, sc. X). E più deve forse il Bugiardo, secondo Achille Neri, alla Feinte inutile del Romagnesi, altra eco del Menteur; p. e. l’idea della dimora incognita che Lelio vorrebbe fare a Venezia, se l’incontro col padre non frustrasse i suoi piani; quella del servitore che imita il padrone, e l’altra dell’amante timido: affinità di tratti «che non è per avventura da credersi fortuita; onde si verrebbe a concludere che al commediografo veneziano non rimase ignoto il lavoro dell’attore francese, in tanto grido a’ suoi di [Rasi, I comici, ecc. II, p. 400-402], ed oggi quasi interamente dimenticato». (Un’imitazione del «Menteur». Fanf. d. domen. 1888, n. 14). Ma non nel nuovo soltanto è palese la superiorità dell’ingegno comico del Goldoni di fronte al Corneille. Si vegga quanto movimento e quale maggior verisimiglianza abbia la grande scena fra babbo e figliolo (A. II, sc. XII), ricalcata sulle orme del Menteur (Giacosa, L’arte di C. G. in Comm. scelte di C. G. Milano, Hoepli, 1902, pp. XVIII-XXVI).

Alarcon e Comeille avevano scritto in versi, «un merito di più» nota il Voltaire (Commentaire sur Corneille, ed. Beuchot, T. XXXV, p. 448-449). A creder suo i commediografi preferivano ormai la prosa, perchè si faceva più presto e con minor fatica. Non il Goldoni. La prosa rispondeva a quel senso della realtà scenica ch’egli possedette sovrano. Con questo, si capisce, via ogni ricercata eleganza e quella dignità nei personaggi, che il Rabany (C. G. ecc. Paris, 1896, p. 278) sente mancare. Dello stile «tutt’affatto prosaico e comunale» si duole anche il Carrer (Notizie su la comm. it. avanti C. G. Venezia, 1825, III, p. 131), ma nei rapporti tra le due commedie «dal lato della vivacità nel dialogo e nei caratteri» il suo giudizio pende a favore del Goldoni. Il quale segue l’originale solo nelle linee maestre della tela (serenata, casato, nozze progettate dal padre e simulate dal figliolo, cena in casa delle ragazze), ma con ciò che aggiunge di suo, per il contenuto delle singole scene, e dando non nel nome soltanto, ma nel fatto, cittadinanza veneziana a Lelio e alle sue vittime, Carlo Goldoni sostituisce in effetto commedia a commedia. «Il Bugiardo... merita di esser detto piuttosto creazione originale che imitazione» conclude perciò lo Skola un suo accurato parallelo fra le tre commedie (Corneille’s. Le M. und Goldoni’s Il B. in ihrem Verhältniss. zu Alarcon’s La v. s. Pilsen, 1884, p. 62). Nella critica storico-teatrale le esercitazioni letterarie sui rapporti tra i due lavori (battistrada benevolo e oggettivo il Voltaire) abbondano. Tranne pochissimi, cui sembra meschina cosa il Bugiardo (R. Lavigne nella Notice al Menteur. Paris, Hachette, 1889, p. 5,196) o addirittura indecoroso mettere il nome di un Goldoni allato a quello di Pierre Corneille (E. Copping, Alfieri and G. London, 1857, pp. 267, 268), il consenso sulla maggior vita drammatica conferita dal Nostro alla vecchia favola, è quasi generale (vedi oltre alle opere già cit. ancora Cronegk, Schriften, Carlsruhe, 1776, I, pp. 426-428; H. Auger, Physiologie du thèatre, Bruxelles, 1840, II, pp. 267, 268; F. U. Maranzana, Un tipo fortunato. Gazz. letter. Torino, 1885, 10 ott.; A. Neri, A proposito di un tipo fortunato, ibid. n. 43; J. Minor, Wahrheit und Lüge auf dem Theater und in der Literatur. Euphorion, A. III, fase. III [1896], pp. 272, 273, 309-312; G. Gabrieli, Due commedie, La vedetta. Fiume, 15 VII 1906; G. Gallica, Il Bugiardo di