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490 ATTO SECONDO

SCENA XXII1.

Donna Elvira e Sigismondo.

Elvira. Così mi ascolta? Così mi lascia?

Sigismondo. Vi lascia nelle mie mani. Vi lascia nelle mani di un vostro amico. Che volete di più?

Elvira. Via, se mi siete amico, se amico siete di mio marito, ora è tempo di usar con noi gli effetti della vostra amicizia.

Sigismondo. La mia amicizia è stata sempre sollecita, costante e leale, ma sfortunata. Ho protestato di non esser amico che degli amici.

Elvira. Don Filiberto non è mai stato vostro nemico.

Sigismondo. E voi, donna Elvira, confessate la verità, come vi sentite rispetto a me?

Elvira. Ora non si tratta di me, si tratta di mio marito.

Sigismondo. Ma chi è che prega per lui?

Elvira. Una moglie afflitta, una moglie onorata.

Sigismondo. Questa moglie onorata, che mi prega, è mia amica, o mia inimica?

Elvira. Don Sigismondo, il signor Governatore vi ha imposto di far giustizia.

Sigismondo. Chiedete grazia, o chiedete giustizia?

Elvira. Chiedo giustizia.

Sigismondo. Bene, si farà.

Elvira. Quando uscirà di carcere il mio consorte?

Sigismondo. Per far giustizia, bisogna far esaminare la causa.

Elvira. E frattanto dovrà star carcerato?

Sigismondo. Le leggi così prescrivono.

Elvira. Deh, per pietà, valetevi dell’arbitrio concessovi, fatelo scarcerare. S’egli è reo, pagherà cogli effetti, pagherà colla vita istessa.

Sigismondo. Questa che ora mi chiedete, non è giustizia, ma grazia.

  1. È unita nell’ed. Bett. alla scena preced.