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averia fatto tante iniquità. Sappiè, digo, signora Morte, che gh’ho dà un per d’occhiali. La dise: Troppo tardi. Onde guardeve, che adessadesso la vien.

Isabella. Papà, papà, la Morte. (corre dal padre)

Sancio. Costui è buffone, ma mi tocca sul vivo.

Arlecchino. Ma vôi tornar dalla signora Morte, vôi portarghe quel lazzo sì fatto, acciò la fazza la boiessa del segretario, e son seguro che tutta la città me regalerà, come i contadini regala chi mazza un lovo in campagna. (via)

Sancio. Conte, sentite come parla costui?

Conte. I suoi detti sono allegorici.

Sancio. Che veramente don Sigismondo sia un adulatore?

Conte. Io credo certamente di sì. Il consiglio ch’egli mi ha dato di rapirvi la figlia, non è certamente da uomo onesto.

SCENA XIV1

Donna Luigia, Colombina e detti.

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Luigia. Orsù, giacche è fatta, sia fatta; ma avvertite bene, subito sposata, conducetela via, ch’io non la voglio vedere.

Isabella. (Evviva, evviva).

Colombina. Ecco lì, giubila tutta.

Conte. In questo vi servirò.

Luigia. Non le mandate abiti, non le mandate gioje, non le mandate niente. Sposatela com’è, conducetela via, e a Roma le farete quel che volete. (Sa il cielo quante belle cose averà quella scimunita). (da sè)

Conte. Lo farò per obbedirvi. Permettetemi dunque che alla vostra presenza le dia la mano.

Luigia. Signor no, alla mia presenza non voglio.

Isabella. Andiamo in camera.

Luigia. Sentite la sfacciatella? Giuro al cielo!

  1. Vedi p. 504. Nell’ed. Pap. è sc. XVII.