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mutare il nome di Menico Tarrocchi in quello di Pantalone dei Bisognosi. (leggete piano)

Pantalone. Eccellenza sì. (legge piano)

SCENA XXII1.

Don Sigismondo, sostenuto da due servitori, e detti.

Sancio. Gentilissimo signor segretario, venite in tempo.

Sigismondo. Signore, io sono morto

Isabella. Ahi, ahi! (parte)

Colombina. Ha avuto paura.

Conte. Soccorretela. (a Colombina)

Colombina. Voi la soccorrereste meglio di me. (parte)

Sancio. Siete morto?

Sigismondo. Sì, son morto. Per me non vi è rimedio. Il medico mi ha data già la sentenza. Il veleno ha preso forza; sento divorarmi le viscere, e poche ore mi restano ancor di vita. Queste impiegarle vogl’io, se posso, a morir bene, già che tutto il resto della mia vita impiegato l’ho a viver male. La morte è il mio disinganno, e il disinganno mio deve essere ancora il vostro. Tre anni sono ch’io vi servo, tre anni sono ch’io vi adulo. Rammentate ad uno ad uno tutti i miei consigli: riandate ad una ad una tutte le mie massime, e stabilite in voi stesso che tutti sono inganni, tutte falsità enormi, sognate dalla mia ambizione, dalla mia avarizia, col mezzo della pessima adulazione. Anco l’amore ha avuto parte nelle mie menzogne. Amai donna Elvira; e trovandola costante al suo sposo, tramai calunnie alla di lui innocenza, per profittare sul cuore illibato dell’onestissima dama. Usurpai le mercedi de’ servi, discreditai la la loro fede, e li privai del pane. Tradii il povero Pantalone de’ Bisognosi, tradii infinito numero di persone, ma più di tutti voi ho tradito, mio troppo facile e troppo condiscendente padrone. Io muoio, e la mia morte è opera del vostro cuoco, che oggi

  1. Vedi p. 510. Sc. XXIV nell’ed. Pap.