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IL VERO AMICO 323

Ottavio. Anzi non possono dir peggio. Se mi credono ricco, m’insidieranno la vita, non sarò sicuro in casa. La notte i ladri mi apriranno le porte. Oh cielo! Mi converrà duplicare le serrature, accrescere i chiavistelli, metterci delle stanghe.

Rosaura. Piuttosto, se avete timore, prendete in casa un altro Servitore.

Ottavio. Un altro servitore? Un altro ladro, un altro traditore, volete dire; non abbiamo appena da viver per noi.

Rosaura. Per quel ch’io sento, voi siete miserabile.

Ottavio. Pur troppo è la verità.

Rosaura. Dunque come farete a maritarmi e darmi la dote?

Ottavio. Questo è quello che non mi lascia dormir la notte.

Rosaura. Come! Mi porrete voi in disperazione?

Ottavio. No, il caso non è disperato.

Rosaura. Ma la mia dote vi sarà, o non vi sarà?

Ottavio. Ah! vi sarà. (sospirando)

Rosaura. Devono essere ventimila1 scudi.

Ottavio. Taci, non me lo rammentare, che mi sento morire.

Rosaura. Il cielo vi faccia vivere lungo tempo; ma dopo la vostra morte io sarò la vostra unica erede.

Ottavio. Erede di che? Che cosa speri ereditare? Per mettere insieme ventimila scudi, mi converrà vendere tutto quello che ho al mondo; resterò miserabile, anderò a domandar l’elemosina. Ereditare? Da me ereditare? Via, disgraziata, per la speranza di ereditare, prega il cielo che muora presto tuo padre; ammazzalo tu stessa per la speranza di ereditare. Infelicissimi padri! Se sono poveri, i figliuoli non vedono l’ora che crepino per liberarsi dall’obbligo di mantenerli; se sono ricchi, bramano la loro morte pel desiderio di ereditare. Io son povero, non ho danari. Rosaura mia, non isperar niente dopo la mia morte; sono miserabile, te lo giuro.

Rosaura. Ma ditemi, in grazia, che cosa vi è in quello scrigno incassato nel muro, che tenete serrato con tre chiavi e lo visitate due volte il giorno?

  1. Pap., qui e più sotto: seimila.