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324 ATTO PRIMO

Ottavio. Io scrigno?... Che scrigno?... E una cassaccia di ferro antica di casa... Tre chiavi? Se è sempre aperta... La visito due volte al giorno? Oh malizia umana! Oh donne, che sempre pensate al male! Vi tengo dentro i miei fazzoletti, le poche mie camicie, e altre cose che non mi è lecito dire; cose che mi abbisognano in questa mia vecchia età. Io scrigno? Io danari? Per amor del cielo, non lo dire a nessuno. Povero me! Tutti mi augureranno la morte. Non è vero, non è vero, non ho scrigno, non ho danari. (Manco male che non sa nulla dello scrigno dell’oro, che tengo sotto il mio letto1). (da sè) Non ho scrigno, non ho danari. (parte)

SCENA X.

Rosaura sola.

Povero vecchio! Si crede ch’io non sappia tutto. Nello scrigno vi è del danaro in gran copia, e questo2 ha da essere tutto mio. Ma quando sarò padrona, quando sarò ricca, sarò io contenta? Oimè! che la mia contentezza non dipende dall’abbondanza dell’oro, ma dalla pace del cuore! Questa pace l’avrò io con Lelio? No certamente; un tempo mi compiacqui d’amarlo, ora mi trovo quasi astretta a doverlo odiare3. Ma perchè? Perchè mai tal cambiamento nel mio cuore? Ah Florindo! ah graziosissimo Veneziano! tu hai prodotta in me quest’ammirabile mutazione. Da che ti ho veduto, mi sentii ardere al tuo bel fuoco. In un mese ch’io ti tratto, ogni di più mi accendesti. A te ho donato il cuor mio, e ogni altro oggetto mi sembra odioso, e odioso più di tutti mi è quello che tenta violentare l’affetto mio. Quel4 Lelio che era una volta la mia speranza, ora è divenuto il mio tormento, la mia crudele disperazione.

  1. Paper. aggiunge: In quel grande non v’è che l’argento, ma pure non vo’ che sì sappia; se lo sanno, misero me!
  2. Paper. aggiunge: morendo mio padre.
  3. Paper.: obliare.
  4. Pap.: onde quel.