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340 ATTO SECONDO

SCENA IX.

Florindo e detto.

Florindo. (Lelio è qui? Dov’è la mia lettera?) (da sè)

Lelio. Caro amico, lasciate che io teneramente vi abbracci, e nuovamente vi dica che da voi riconosco la vita.

Florindo. Ho fatto il mio debito e niente più. (osserva sul tavolino)

Lelio. Certamente, se non eravate voi, quei ribaldi mi soverchiavano. Amico, che ricercate?

Florindo. Niente... (osservando con passione)

Lelio. Avete smarrito qualche cosa?

Florindo. Niente, una certa carta.

Lelio. Una carta?

Florindo. Sì: è molto che siete qui1?

Lelio. Da che vi ho lasciato.

Florindo. Vi è stato nessuno in questa camera? (con (smania)

Lelio. Ditemi, cercate voi una vostra lettera?

Florindo. (Aimè! l’ha vista). (da sè) Sì, cerco un abbozzo di lettera2.

Lelio. Eccola; sarebbe questa?

Florindo. Per l’appunto. Signor Lelio, siamo amici; ma i fogli, compatitemi, non si toccano.

Lelio. Né io ho avuto la temerità di levarlo dal tavolino.

Florindo. Come dunque l’avete in tasca?

Lelio. Mi è capitato opportunamente.

Florindo. Basta... torno a dire... è un abbozzo fatto per bizzarria3.

Lelio. Sì, capisco benissimo che voi avete scritto per bizzarria: ma scusatemi, un uomo saggio come voi siete, non mette in ridicolo una donna civile in cotal maniera.

Florindo. Avete ragione; ho fatto male e vi chiedo scusa.

Lelio. Non ne parliamo più. La nostra amicizia non si ha da alterare per questo.

  1. Pap.: qui voi?
  2. Pap. aggiunge: scritta per bizzarria.
  3. Come segue questa scena nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.