Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/412

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volino, me la dimentico, acciecato dal zelo dell’amicizia. Lelio l’ha trovata, penso che abbia scoperto il mio amor con Rosaura, e mi credo in debito di confessarlo; sento che v’è un equivoco, che mi crede innamorato di Beatrice; ma non son più in tempo a trovar ripiego; perchè, se nego d’amar Beatrice, bisogna che confessi d’amar un’altra; esaminando le circostanze della lettera e del mio caso, sono in necessità di scoprirmi da me medesimo rivale del mio caro amico.

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SCENA XV1.

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Ottavio. Digli qualche buona parola; se ha inclinazione per te, fa che mi parli; io poi aggiusterò la faccenda.

Rosaura. E se volesse anche egli la dote?

Ottavio. Non facciamo altro.

Rosaura. Converrebbe metter mano allo scrigno.

Ottavio. Possa cascare i denti a chi nomina questo scrigno. Se speri di maritarti colla dote che è nello scrigno, ti mariterai quando gli asini voleranno. Scrigno? Io scrigno? Sai qual è il mio scrigno? Eccolo; tu lo sei. Spero che ti mariterai senza dote, e che tuo marito farà le spese anche a me. (parte)

SCENA XVIII2.

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Rosaura. Eh via, signor Florindo, non abbiate riguardo a dire la verità. Finalmente la signora Beatrice è ben degna di voi. Vedo da questa lettera, che veramente l’amate.

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Florindo. Non mi pare che questa lettera dica questo.

Lelio. Vi torno a dire, qui possiamo parlar con libertà. Siamo tre persone interessate per la medesima causa. Altri non lo sapranno fuor di noi. Ma non mi fate comparire un babbuino.

  1. Vedi a p. 348.
  2. Vedi a p. 351.