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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/164

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154 ATTO PRIMO

Ottavio. Ma finalmente che pretendete da me?

Lelio. Colle buone, signor Ottavio, colle buone. Non vorrei che proteggeste Florindo.

Ottavio. Io per lui non ho ancora parlato; per lui non ho fatto passo veruno.

Lelio. Se non l’avete fatto voi, l’ha fatto la vostra signora.

Ottavio. La signora Beatrice?

Lelio. Ella appunto; e so di certo, ed ho relazione sicura, che ella sia poco fa passata dalle camere del Governatore alla carcere di Florindo.

Ottavio. (Mia moglie alla carcere di Florindo?) (da sè)

Lelio. Abbiamo un Governatore troppo condiscendente, che si lascia condurre, che fa a modo di tutti, e voi, sia detto a gloria vostra, esigete più stima del Governatore medesimo; onde faccio con voi quel passo, che con lui non mi degnerei di far certamente. Signor Ottavio, vi supplico, fate conto della mia amicizia, non mi ponete in cimento.

Ottavio. (Beatrice in carcere? Per liberar Florindo vi era bisogno d’andar in carcere?) (da sè)

Lelio. Signore, che cosa mi rispondete?

Ottavio. Ci penserò.

Lelio. Pensateci; attenderò le vostre risoluzioni.

Ottavio. Andate, ve lo farò sapere.

Lelio. Oh, di qui non parto senza la positiva risposta.

Ottavio. Parlerò con mia moglie; non so qual impegno possa ella aver preso.

Lelio. La signora Beatrice verrà a casa, ed io l’attenderò.

Ottavio. Io devo uscire di casa mia.

Lelio. Servitevi. Frattanto, se mi date licenza, passerò un atto di convenienza col padre, o sia tutore, o sia benefattore di Rosaura, che so essere in casa vostra.

Ottavio. Sì, è quello che voi avete insultato.

Lelio. L’ho fatto non conoscendolo.

Ottavio. E vi è la dama, che avete egualmente offeso.

Lelio. Le tornerò a chiedere scusa.