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Livia. Faceva il maestro di scuola?

Paggio. Signora sì, e ora che mi ricordo, mi ha dati due cavalli. E sa dove? Se non fosse vergogna, glielo direi.

Livia. (Il maestro di scuola? Oh, quanto me ne dispiace!) Eccoli. Fa che passino.

Paggio. Se mi desse ora le spalmate e i cavalli, gli vorrei cavare un occhio. (via)

Livia. Eppure all’aspetto pare un uomo assai civile. Basta, lo assisterò tant’e tanto, e se non mi sarà lecito di sposarlo, procurerò almeno ch’egli resti in Palermo.

SCENA IX.

D. Aurora, Guglielmo e detta.

Aurora. Amica, eccomi a darvi incomodo.

Livia. Voi mi onorate.

Guglielmo. Fazzo umilissima riverenza alla signora donna Livia.

Livia. Serva, signor Guglielmo; accomodatevi. (siedono: D. Aurora in mezzo, e Guglielmo vicino a lei) Come state, signor Guglielmo, state bene?

Guglielmo. Benissimo, che non posso star meggio.

Livia. Mi parete di buon umore questa mattina.

Guglielmo. Ghe dirò: co gh’ho bezzi, son sempre allegro.

Livia. Certamente i denari rallegrano il core.

Guglielmo. Gran obligazion, siora D. Livia, che mi gh’ho a sta signora; oltre l’onorarme della so tola...

Aurora. Oh via, non dite altro.

Guglielmo. La me compatissa, mi son cussì. Co ricevo un beneficio, gh’ho gusto che tutto el mondo lo sappia. Siora D. Aurora m’ha donà...

Aurora. Via, non voglio che dite altro. (Amica, io non posso soffrire, sentirmi attribuire un merito che avete voi). (a Livia)

Livia. (Ed io questa cosa la godo infinitamente). (piano ad Aurora) E così, signor Guglielmo, cosa vi ha regalato D. Aurora?

Aurora. Zitto. (a Guglielmo)