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Guglielmo. Da servir a servir ghe xe diferenza, sier aseno.

Livia. Andate a rispondere all’ambasciata del Marchese, (al cameriere)

Cameriere. (Vuol far da cavaliere, e anch’egli mangiava il pane degli altri). (via)

Aurora. Colui deve sbagliare; non vi conoscerà.

Guglielmo. Siora no, nol falla: el dise la verità. A Roma ho fatto da segretario. Son partio da Venezia mia patria, per i desordini della zoventù; son andà a Roma, per muar aria. Finchè ho abù bezzi, ho godesto; co i ho fenii, ho scomenzà a far lunari. No saveva più come far. Ho trova un cavalier che s’ha mosso a pietà de mi. Ghe scriveva le lettere, ghe fava da segretario, e la carica de segretario con un cavalier de rango e de autorità no tol gnente, ma anzi cresce onor e merito a un zovene ben nato, e che se voggia avanzar.

Aurora. Eh, io sapevo che ha fatto il segretario.

Livia. S’io fossi una dama, esibirei al signor Guglielmo la mia piccola segretaria.

Guglielmo. Me saria de gloria e d’onor de poderla servir.

SCENA XIII.

Marchese d’Osimo e detti.

Marchese. Oh, signora D. Livia, siete ottimamente accompagnata. (tutti salutano)

Livia. Io ho piacere di non star sola.

Marchese. Avete delle liti?

Livia. Perchè?

Marchese. Vedo che avete qui l’avvocato.

Livia. E chi è quest’avvocato?

Marchese. Ecco, il signor Guglielmo. Io l’ho conosciuto in Toscana, ed egli forse non si ricorda di me.

Guglielmo. M’arrecordo benissimo de aver avudo l’onor de vederla. So che la gh’aveva una causa de conseguenza, e so che la l’ha anca persa.

Aurora. (Anche l’avvocato?)