Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/348

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Guglielmo. Se me rovinè mi, ve rovinè anca vu.

Eleonora. Dunque....

Guglielmo. Donca cosa?

Eleonora. Addio.

Guglielmo. Dove andeu?

Eleonora. Dove il cielo destinerà.

Guglielmo. Oh, questo po no. Vôi saver che intenzion che gh’avè.

Eleonora. Crudele.

Guglielmo. Mo via.

Eleonora. Sì, siete un barbaro, siete un ingrato.

Guglielmo. No xe vero gnente; se volè, ve sposo.

Eleonora. Andate a sposare i diecimille scudi d’entrata.

Guglielmo. Sposar diesemille scudi d’entrada? No xe un matrimonio da buttar via. Lo faria volontiera, ma sta putta me fa peccà. Oh diavolo! Una ricchezza de sta sorte la metterò in competenza de una putta, per la qual no gh’ho mo gnanca tutto l’amor? No, no metto la dota in competenza de Eleonora, la metto in competenza del so onor e del mio; e digo che l’onor val più de tutto l’oro del mondo; che se Leonora se quieterà, e sarà salvo el so decoro, abbraccierò sta fortuna. Se no, vaga tutto, ma che se salva l’onor. (via)

SCENA X.

Altra camera in casa di donna Livia.

Donna Livia e donna Aurora.

Aurora. No, il signor Guglielmo da me non si è veduto; e mi meraviglio di lui, che sia partito di casa mia senza congedarsi da me.

Livia. Se vostro marito lo ha discacciato villanamente, non dovea trattenersi.

Aurora. Io non ho parte nello sgarbo di mio marito. Orsù, avete avute le venti doppie?