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I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE 465

Checca. Vorria che la se degnasse de dirme, chi gh’ha dito a ela che mi no son fia de paron Toni.

Eleonora. Chi ha detto a voi, che io lo sappia?

Checca. Me l’ha dito Beppo.

Eleonora. (Che ciarlone!) (da sè) Basta... Io non so nulla.

Checca. Donca no xe vero che la lo abbia dito?

Eleonora. Sì, l’ho detto.

Checca. Ma da chi l’ala sentìo a dir?

Eleonora. Non me ne ricordo.

Checca. Lustrissima, no vorria che la fusse una fiabettaainventada per far che Beppo me abbandonasse.

Eleonora. Orsù, per farvi vedere che parlo con fondamento, vi dirò da chi l’ho saputo; ma avvertite, non parlate.

Checca. Oh, no la s’indubita, no dirò gnente.

Eleonora. Me l’ha detto la signora Beatrice.

Checca. Basta cussì. Grazie a vussustrissima.

Eleonora. Dove andate?

Checca. Torno a casa.

Eleonora. È poi vero quello che si dice di voi?

Checca. No xe vero gnente, le xe tutte busie, e vegniremo in chiaro de tutto. A bon reverirla.

Eleonora. Avvertite, non fate pettegolezzi.

Checca. Oh, no gh’è pericolo.

Eleonora. Mi pento quasi d’essere entrata in questo imbroglio.1

SCENA VI.

Beatrice e dette.

Checca. (Oh, la xe giusto qua). (da se) Lustrissima.

Beatrice. Checchina, vi saluto.

Checca. La diga, cara ela, con che fondamento disela che mi no son fia de paron Toni?

  1. Favoletta.
  1. Segue nell’ed. Bett.: Alcune volte si parla per far bene, e poi ne risulta male. Oh, quanto meglio è tacere.