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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/416

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402 ATTO PRIMO


colle so àmie1; la gh’ha sta inclinazion, e mi lasso che la ghe vaga, e no ghe vôi più pensar.

Florindo. Basta; volendola maritare, spero che non farete a me questo torto.

Pantalone. Co l’avesse da maridar, la daria più tosto a vu che a un altro.

Florindo. Non so che dire. Vi vuol pazienza.

Pantalone. Aveu paura che ve manca putte? Ghe ne troverè de quelle poche.

Florindo. Ma questa mi dava tanto nel genio! Mi piace tanto la sua modestia, la sua bontà!

Pantalone. Xe vero, la xe bona, la xe modesta, ma no la xe da mano.

Florindo. Eccola che viene qui. Mi permette che io resti per un momento?

Pantalone. Restè pur; ghe son mi, no ghe xe gnente de mal.

SCENA XII.

Rosaura con una bambola, e detti.

Rosaura. Signor padre, guardate la bella cosa che mi ha mandato a donare la signora zia. (gli mostra la bambola)

Pantalone. Sì, fia, bella; devertive. (Oe, la zoga alle piavole). (a Florindo)

Florindo. (Che bella innocenza!)

Rosaura. E mi ha mandato a dire che mi aspetta; che vada, che giocheremo all’oca.

Pantalone. Sentìu? (a Florindo)

Florindo. Dunque la signora Rosaura vuole andare a stare colle signore zie?

Rosaura. Sì, signore, vuol venire ancor lei?

Pantalone. Ah, ah, ah, cossa diseu? (a Florindo, ridendo)

Florindo. Se potessi, verrei.

  1. Zie; ma intendesi forse in convento.