Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/417

Da Wikisource.

IL CONTRATTEMPO 403

Rosaura. Lo dirò alla signora zia, giocheremo all’oca.

Pantalone. Via, via, basta cussì. Andè in te la vostra camera.

Rosaura. Signor padre, vi vorrei dire una cosa1.

Pantalone. Cossa me voleu dir?

Rosaura. Non voglio che il signor Florindo senta.

Pantalone. Caro sior, con grazia. (a Florindo, scostandosi)

Florindo. Vi leverò l’incomodo.

Pantalone. Tutto quel che volè.

Florindo. Servo, signor Pantalone.

Pantalone. Ve reverisso. El cielo ve daga ben.

Florindo. Signora, le son servo. (a Rosaura)

Rosaura. Padrone riverito.

Florindo. (Mi piace tanto, che ad ogni costo la sposerei). (da sè, parte)

SCENA XIII.

Pantalone e Rosaura.

Pantalone. E cussì, fia mia, cossa me voleu dir?

Rosaura. Non me ne ricordo più.

Pantalone. Oh bella! Ch’avè sta bona memoria.

Rosaura. Ah sì, ora me ne ricordo. Ho fame.

Pantalone. Xelo questo quel che m’avè da dir?

Rosaura. Questo, questo.

Pantalone. E no se podeva dirlo in presenza de quel sior?

Rosaura. Mi vergogno.

Pantalone. Va là, va là, marzocca, va da to àmie, che ti starà ben.

Rosaura. Oh, un’altra cosa, signor padre, ma in verità questa preme assai.

Pantalone. Cossa xela?

Rosaura. Ho bisogno di quattro baiocchi per giocare all’oca.

Pantalone. (Da una banda la me fa rider). (da sè) Tolè, ve ne dago diese.

Rosaura. Oh belli, oh cari! Li voglio mettere nella mia borsetta. Questa bambola m’intrica, e non la vorrei guastare. Sta lì,

  1. Zatta: vi vorrei dire...