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del suo padrone, il Servo sciocco, Arlequin calet étourdi) che allietarono nel Seicento e nel Settecento i teatri in Italia e fuori, derivati con maggiore o minor fedeltà dal famoso Inavertito overo Scappino disturbato e Mezzettino travagliato (1629), commedia di Nicolò Barbieri detto Beltrame, che l’autore stesso prima della stampa soleva recitare all’improvviso (mi accontento di citare L. Moland, Molière et la comédie italienne, Paris, 1867, vh. IX, e Rasi, I comici italiani, I, al nome Barbieri). Ho detto famoso, perchè sulla traccia dell’Inavertito immaginò Molière nel 1653 (come si crede) l’Etourdi ou les contretemps, proprio all’inizio dell’opera sua di scrittore comico: ma del giusto valore di tale imitazione, rimproverata già dagli Italiani al commediografo francese quasi un furto, parlò di recente, come si conveniva, P. Toldo (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, 1910, pp. 20-27. - Si confronti l’Amant indiscret ou le Maitre étourdi, 1654, comm. di Quinault). Lo stesso Emilio Re (1l. c, 69) additò un’altra commediola di Luigi Riccoboni, recitata a Parigi nel 1717, la quale nel titolo (le Sincère à contretemps) ci ricorda ancora più il carattere particolare dell’eroe goldoniano nel Contrattempo.

Del resto fin qui nessun modello diretto a cui Goldoni abbia potuto attingere. Invece il personaggio di Rosaura, l’ingenua, specialmente nella sc. 17 del secondo atto parve al Rabany (C. G. cit., Paris, 1896, p. 205) e al Merz (C. G. in seiner Stellung zum französischen Lustspiel, Lipsia, 1903, p. 26) imitato dall’Agnese di Molière (l’Ecole des femmes, II, 6): ma tale dipendenza nega ora il Toldo (op. cit., 398) ed è lecito in fatti sospettare che qualche spunto comune ai due commediografi si ritrovasse nel teatro dell’arte, del quale persiste un’impronta nell’esagerata caricatura del Goldoni. Che poi il Dottor veneziano imitasse un pochino se stesso, ripetendo la Diana della Donna volubile (vol. VI), tutti sono d’accordo (cfr. anche la Rosaura dell’Uomo prudente, vol. II, e del Tutore, vol. VII). - Sarebbe infine facile paragonare Ottavio quando nell’atto secondo legge il sonetto del fanatico Leandro all’Alceste di Molière che maltratta i versi di Oronte; anzi si potrebbe esaminar da vicino la soverchia sincerità dell’uno e dell’altro, che costringe all’esilio i due eroi, e osservare come il pubblico dovesse restare alquanto incerto nel giudicarne la colpa e il castigo, se non fosse troppo misero trastullo mettere a pari il Misantropo con una sgorbiatura.

Certo non si offerse chiaro alla fantasia del nostro autore il carattere dell’Imprudente: noi disprezziamo Ottavio per quei medesimi difetti morali per cui si rende odioso Guglielmo, l’avventuriere onorato, al quale molto rassomiglia (v. vol. VI, Nota stor.), ma le sue imprudenze qualche volta riescono amabili, altra volta villane e assurde. Di rado Goldoni, nel creare i suoi personaggi anche più umili, cadde in simile errore. Aggiungo che nemmeno si capisce bene la prefazione della commedia, dove si allude a persone maldicenti, più che imprudenti. Dell’episodio bolognese trovasi traccia nelle scene 14 e 15 del secondo atto: il sonetto poi, nella scena 12, mi ha l’aria di voler canzonare la musa lirica dell’abate Chiari.

Un’ultima osservazione: non crederei che a Teodora Medebach soddisfacesse la parte punto brillante di Rosaura; anche nelle Donne curiose la prima donna, moglie del capocomico, poco aveva da affaticarsi. Rimane ignoto se ciò avvenisse in grazia della salute cagionevole di Teodora, o per mala-