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I MERCATANTI 65

Beatrice. Sì, è in casa da un’ora in qua, passeggia solo, è turbato, e qualche volta sospira.

Madamigella. (Chi sa che io1 non abbia fatta qualche impressione nel di lui animo!) (da sè) Amica, con qualche pretesto mandatelo qui da me. Ora che non è in casa mio zio, posso prendermi qualche poco di libertà.

Beatrice. Procurerò di mandarlo. Ma ditemi, madamigella, vostro zio vuol egli ammogliarsi?

Madamigella. Credo che lo farà, quand’io sarò allogata.

Beatrice. Una volta pareva ch’egli avesse della bontà per me.

Madamigella. Sì, è vero; ha della stima di voi.

Beatrice. Basta... non dico altro.

Madamigella. V’intendo; e credetemi, che anche per questa parte vi sarò amica.

Beatrice. Ora vi mando subito mio fratello. (con allegria)

Madamigella. Fatelo con buona grazia.

Beatrice. (Oh, monsieur Rainmere sarebbe per me una bella fortuna). (da sè; parte)

SCENA XIII.

Madamigella Giannina sola.

Eppure è vero. Lo provo io medesima. Amore è un non so che superiore al nostro intelletto, e vincitor delle nostre forze. Per quanta resistenza voglia fare ad una passione2 che mi trasporta ad amare uno che non lo merita, sono quasi forzata ad arrendermi, e ad assoggettare la mia ragione ad un piacer pernizioso. Che forza è questa? D’attrazione? Di simpatia? O di destino? Qual filosofo me la saprebbe spiegare? Ma la dottrina è inutile, dove l’affetto convince. Io l’amo, e tanto basta. Il conoscerlo indegno d’amore non opra ch’io l’abbandoni, ma che lo desideri degno d’essere amato. Al desiderio unir voglio l’opera mia; e se mi riesce cambiargli il cuore, potrò

  1. Pap. aggiunge: a quest’ora.
  2. Pap. aggiunge: ridicola.