Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu/150

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140 ATTO SECONDO

Rosaura. Con sua licenza, signore. (vuol partire)

Lelio. Non mi private sì presto del bel piacere....

Rosaura. (Amica, compatitemi s’io vi lascio). (piano a Beatrice)

Beatrice. (Dove andate con tanta fretta?) (piano a Rosaura)

Rosaura. (Dove mi porta il cuore). (piano a Beatrice)

Beatrice. (V’ho inteso. A rintracciare Florindo). (piano a Rosaura)

Lelio. (Che dice ella di me?) (a Beatrice)

Beatrice. Ella è incantata del vostro merito. (a Lelio)

Lelio. Ah, se voi saprete aspirare all’acquisto della mia grazia... (a Rosaura)

Rosaura. Serva umilissima della sua cara grazia. (parte)

SCENA III.

Beatrice e Lelio.

Lelio. Parte ruvidamente così?

Beatrice. Come volete ch’ella resista alle dolci parole che voi le dite? Una povera giovine si sente solleticata dai vostri vezzi; è forzata partire per modestia, per confusione.

Lelio. È verissimo, dite bene. Questa è la mia disgrazia. Quasi tutte le donne mi piantano per verecondia. Ma chi è questa altra bellezza, che viene alla volta nostra?

Beatrice. Aspettate... ella è... (accresciamo il divertimento). (da sè)

Lelio. Che? Non la conoscete?

Beatrice. Non volete ch’io la conosca? È la signora Rosaura, la nipote del signor Pantalone.

Lelio. Giusto cielo! Già mi sento ardere nel vederla ancor di lontano.

Beatrice. Non viene qui, per altro.

Lelio. Andiamole incontro; muoio di voglia...

Beatrice. Anderò ad incontrarla.

Lelio. Voglio esserci ancor io.

Beatrice. Aspettate prima, ch’io le dica chi siete.

Lelio. Mi raccomando alla eloquenza vostra.

Beatrice. Farò giustizia al merito.