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204 | ATTO TERZO |
Violante. Ed io da questo punto determino, propongo e giuro, che nè voi, nè altri della vostra fatta, saranno mai più in casa mia tollerati. Andate da me lontani, perfidi adulatori, mendaci, che innamorati della mia eredità deste fomento alle mie illusioni. Don Fausto, uomo saggio, uomo veramente sincero, compatite se ho fatto sì lungamente dei torti al vostro merito. Conosco adesso la verità. Sono disingannata. Ringrazio il cielo che mi ha concesso li ventimila ducati, e questi alla mia mano uniti a voi li offerisco, a voi li dono, in premio della vostra sincerità. (gli dà la mano)
Fausto. Non per i ventimila ducati, ma per la speranza che ritorniate quella saggia donna che foste, vi do la mano e vi prometto esser vostro.
Gismondo. (È fatta).
Roberto. (Non c’è più rimedio).
Gismondo. Mi rallegro infinitamente con i signori sposi. Se posso servirli, mi comandino. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)
Roberto. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)
Fausto. Perfidi! mi renderete conto...
Pantalone. Lassè che i vaga sti musi da do musi; no ghe stè a badar.
Elvira. Ecco: la signora cognata ha ritrovato marito, e di me, signor zio carissimo, non si parla?
Pantalone. Stè attenta, che ve toccherà la volta.
Aurelia. Donna Violante, mi rallegro con voi.
Violante. Spero, donna Aurelia, che alle mie spalle avrete terminato di ridere.
Aurelia. Io?
Violante. Sì, vi conosco. Mi avete anche voi stuzzicata a scrivere, per aver nuova materia da pascolar le conversazioni.
Aurelia. Oh, in quanto a questo ne avete fatte tante, che per degli anni siamo ben provveduti. Signor don Fausto, mi rallegro, se la godi, riverisco tutti. (parte)