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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/232

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224 ATTO PRIMO


Clarice. È impossibile, impossibilissimo.

Argentina. Ma perchè mai?

Clarice. Perchè sono una stravagante, non è vero?

Argentina. Tutto quello ch’ella comanda.

Clarice. Io comando che tu stia zitta e che mi porti rispetto.

Argentina. La non comanda altro? Faccia conto ch’io l’abbia bell’e servita. Signora Flaminia, ho da darle una buona nuova.

Flaminia. Che nuova?

Argentina. È arrivato il signor Ottavio.

Clarice. Il signor Ottavio è venuto?

Argentina. Perdoni, io non l’ho detto a lei.

Flaminia. L’ha veduto mio padre?

Argentina. Non ancora.

Clarice. Che cosa è venuto a fare il signor Ottavio?

Argentina. L’ho veduto dalla finestra; mi ha chiamata in istrada... (a Flaminia)

Clarice. A me non si risponde? (ad Argentina)

Argentina. Oh signora, so il mio dovere. Quando mi comandano di star zitta, non parlo. (a Clarice) Son discesa per sentire che voleva da me. (a Flaminia)

Clarice. (Costei mi vuol far venire la mosca al naso). (da sè)

Flaminia. E così, Argentina mia, che cosa ti ha detto?

Argentina. Senta. Con sua licenza. (a Clarice, tirando Flaminia da parte)

Clarice. Come! non posso sentire io?

Argentina. Oh signora no.

Clarice. Perchè?

Argentina. Perchè ha dette certe cose che a lei non possono dar piacere. Se gliele dicessi, mancherei al rispetto. So il mio dovere. (a Clarice) E così, signora mia... (a Flaminia)

Clarice. Parla: voglio sapere che cosa ha detto di me.

Argentina. Ma se mi ha comandato di tacere.

Clarice. Ora voglio che parli.

Argentina. Taci, parla; voglio, non voglio: e poi non vorrà che che le si dica che è stravagante.