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430 ATTO PRIMO

Pantalone. Sior sì, semo amici co sior Celio. El xe un bon galantomo. Pecca che el patissa i flati ipocondriaci. La1 saverà anca ela; el xe un raner2 de vintiquattro carati.

Ottavio. E bene altrettanto spiritosa la di lui nipote.

Pantalone. La conossela siora Clarice?

Ottavio. L’ho conosciuta a Livorno, quando colà conviveva il di lei padre, fratello del signor Celio; e poi due volte l’ho qui veduta in casa d’una Fiorentina, in compagnia della signora Flamminia.

Pantalone. La xe fia unica de un pare che negoziava, e de un barba3 che gh’ha del soo. La gh’averà una bona dota.

Ottavio. Dicono però che non arrivi a diecimila ducati.

Pantalone. E siora Flamminia?

Ottavio. Ella ne averà trentamila.

Pantalone. Me ne consolo con ela, signor. La farà un bon negozio.

Ottavio. Signore, ho piacere d’aver avuto la fortuna di conoscervi. Il vostro nome?

Pantalone. Pantalon, per servirla.

Ottavio. Signor Pantalone, all’onore di rivedervi. (in atto di partire)

Pantalone. L’aspetta, patron; perchè, avanti che la vaga via, gh’ho da parlar.

Ottavio. Che cosa avete da comandarmi?

Pantalone. L’ha visto che mi, senza conosserla, solamente per zelo dell’onestà e della giustizia, me son intramesso tra ela e sior Martin, parendome che el trattasse mal, e che el ghe usasse superchieria.

Ottavio. È vero, di ciò vi sono obbligato.

Pantalone. Ma no basta.

Ottavio. Che cosa devo fare di più?

Pantalone. No ala perso sulla parola quaranta ducati?

Ottavio. È vero: li ho perduti.

Pantalone. Bisogna che la li paga.

  1. Così Pasquali; Pitteri stampa lal, Guibert-Orgeas e Zatta l’al
  2. Pien di rane, apprensivo, ammalato immaginario: v. Boerio.
  3. Zio.