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IL GELOSO AVARO 35

Luigi. E vero che voi non avete voluto insuperbirmi con espressioni di troppa bontà; per altro la fortuna ha voluto beneficarmi, assicurandomi che non sono da voi sprezzate le mie premure.

Eufemia. Di grazia, don Luigi, chi vi ha fatto credere che i vostri regali non mi dispiacciano?

Luigi. Signora, non parlo de’ miei regali, perchè sono cose delle quali mi vergogno parlarne; ma trattandosi della premura che per voi nutro, so che vi degnate gradirla. Non vi sdegnate: me ne assicurano i vostri servi.

Eufemia. Costoro non possono dirlo...

Pantalone. Siora sì, i saverà quel che i dise. E se no basta l’asserzion dei servitori, anca mi assicurerò sior don Luigi della so bona grazia. Sfazzada! Me maraveggio che se parla cussì. (verso don Luigi)

Luigi. Come? che impertinenza è la vostra? Così vi rivoltate contro di me?

Pantalone. Mi no la gh’ho con ela, patron. De ela parlo colla bocca per terra. Un zovene lo compatisso, se el cerca de devertirse. Me maraveggio de sta matta de donna, che no gh’ha gnente de reputazion.

Eufemia. Se non avessi riputazione, vi risponderei come meritate. Il tacere ch’io faccio, è la maggior prova della mia onestà, della mia prudenza. Esaminate voi stesso, e troverete di chi è la colpa e di chi è l’innocenza. (parte)

SCENA XVII.

Don Luigi e Pantalone.

Luigi. Giuro al cielo, mi avete fatta un’azione indegna.

Pantalone. Mi? cossa gh’oio fatto? No l’ho lassà qua con mia muggier? Mi no son zeloso.

Luigi. Siete stato ad udirci dietro d’una portiera.

Pantalone. No xe vero.

Luigi. Non è vero? Uomo incivile! Non siete degno d’una moglie