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258 | ATTO SECONDO |
Laurina. Per questo...
Aurelia. Ascoltatemi. Suo padre lo lasciò ricco, ma in pochi anni ha egli consumata l’eredità in crapule, in dissolutezze, in giuoco, in donne.
Laurina. Non credo...
Aurelia. Lasciatemi terminare. Egli è pieno di debiti, e se vi sposa, e la zia vi dà la dote, o in pochi dì egli la consuma, o vi conduce a parte delle di lui miserie, a piangere seco il tristo effetto d’un amore imprudente.
Laurina. Signora, avete ancor terminato?
Aurelia. Vengo alla conclusione. So che voi non vorrete credere per vera la descrizione fattavi del vostro amato Florindo, ma figuratevi per un momento ch’ei fosse tale, quale ve l’ho dipinto; lo prendereste voi per marito?
Laurina. Se tale ei fosse... certamente... non lo prenderei.
Aurelia. Lode al cielo, voi non lo amate. (s’alza) Se lo amaste davvero, l’amore vi farebbe essere più pazza ancora che voi non siete. Ecco avverato quanto vi dissi, eccovi il vostro cuore scoperto. Voi non amate Florindo, ma in lui bramate uno sposo. Ma questo sposo che voi bramate, non amereste riceverlo dalle mani di vostra madre?
Laurina. Se voi me lo aveste proposto, non lo avrei ricusato.
Aurelia. E se ora vel proponessi, sareste in grado di ricusarlo?
Laurina. Il mio dovere sarebbe, ch’io mi rassegnassi al volere della mia genitrice.
Aurelia. Lo conoscete dunque questo dovere.
Laurina. Sì, signora: non sono mai stata disobbediente.
Aurelia. Se siete ragionevole, se conoscete il vostro dovere, principiate ora ad usarlo.
Laurina. Ma come, signora?
Aurelia. Licenziate Florindo.
Laurina. Licenziar Florindo? Vi vorrebbe una ragione per farlo.
Aurelia. La ragione più forte per voi sia il comando di vostra madre.
Laurina. Ciò non potrà difendermi dai rimproveri di Florindo e dagl’insulti della zia. Vi vorrebbe qualche cosa di più.