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276 ATTO TERZO


Aurelia. Laurina, non ti so intendere.

Laurina. (Non lo capisce ch’io voglio marito?) (da sè)

Aurelia. Ti replico, che penserò a maritarti.

Laurina. (Non intende che l’indugiare m’infastidisce?) (da sè)

Aurelia. Tu parli da te stessa. Che pensi, Laurina mia?

Laurina. Penso che mia zia mi ha detto delle cose tante; non vorrei ch’ella mi obbligasse.

Aurelia. No, non ti obbligherà. Parlerò io per te. Son tua madre, solleciterò le tue nozze, lo sposo lo ritroverò quanto prima.

Laurina. Davvero?

Aurelia. E spero d’averlo anche trovato.

Laurina. Davvero? (ridendo)

Aurelia. Tu ridi, eh?

Laurina. Mi consolo, vedendo che mi volete bene davvero.

Aurelia. Eh, figliuola, l’amor mio tu non lo conosci. Vedrai che cosa farò per te.

Laurina. Cara la mia signora madre. Or ora mi fate piangere dall’allegrezza.

Aurelia. (Gioventù sconsigliata, tu piangi e ridi, ed il perchè non lo sai). (da sè)

SCENA III.

Donna Lucrezia e dette.

Lucrezia. Scusi la signora cognata, se vengo nelle sue camere.

Aurelia. Io non ho mai negato nè a voi, signora, nè a chi che sia ne’ miei appartamenti l’ingresso.

Lucrezia. So che siete gentile, e se poc’anzi vi è stato dato qualche dispiacere nel quarto mio, scusate l’amore che tanto io che don Ermanno professiamo alla vostra figliuola.

Aurelia. Voi l’amate poco, signora cognata, se pensate di maritarla col signor Florindo.

Lucrezia. Consolatevi, che queste nozze non si faranno più.

Aurelia. Me ne ha assicurato Laurina ancora.

Laurina. Sì signora, le ho detto tutto, e sopra ciò non occorre discorrer altro.