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346 ATTO TERZO
E se nulla poss’io far a te che ti piaccia,

Da te cosa a me grata è giusto che si faccia.
Lisca. Impiegami, Damone, parla, domanda, imponi.
Parla, eccellente cuoco d’anitre e di pavoni.
Per te che non farei, che far da me si possa?
Amico fino all’ara, e anche fino alla fossa.
Damone. Terenzio, qual io sono, è schiavo al signor mio;
Nè vale il dir ch’egli abbia cosa che non ho io,
Che, fuori d’una sola, di cui ’l destin1m’ha privo,
Penso com’egli pensa; com’egli vive, io vivo.
Africa ad ambedue2 diè povero il natale;
Esser dovrebbe in Roma sorte ad entrambi eguale:
Ma a lui si fan gli onori, per lui s’han de’ riguardi,
Ed io non trovo in Roma un cane che mi guardi.
Lisca. Lo sai perchè?
Damone.   Lo vedo. Perchè il padron destina
Alle scene Terenzio, Damone alla cucina.
Ma d’ingiustizia tale mi lagno, e vo’ lagnarmi,
Fino che ’l giorno arrivi ch’io possa vendicarmi.
A te, che amico sei, ch’hai cervel buono e sodo,
Chiedo che a me consigli della vendetta il modo.
Lisca. Sì, volentier; darotti facil consiglio e certo,
Che sopra al tuo rivale salir farà il tuo merto.
Mirar precipitati vuoi tutti i pregi sui?
Studiati una commedia formar meglio di lui.
Damone. N’ho voglia; lo farei, ma non ne so principio.
Lisca. Poeta divenire può tosto ogni mancipio.
T’insegnerò.
Damone.   Lo voglia Vulcan, Cerere e Bacco.
Lisca. Dai numi di cucina far devi ogni distacco:
Hansi a invocar le Muse, Minerva e ’l biondo Apollo;
E di padella in vece, porsi la cetra al collo.
Odimi. Se prometti a me dar due fagiani,
Opra passar per tua farò delle mie mani.

  1. Pitteri: di cui destin ecc.
  2. Pasquali, Zatta ecc.: L’Africa ad ambedue ecc.