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414 ATTO PRIMO
De’ miei deliri il mondo s’accorge, e mi deride,

Ma ignota è la cagione che me da me divide.
Se a cogliere giugnessi delle mie pene il frutto,
Racquisterei la mente, o impazzirei del tutto,
Che ambe cagion possenti, onde ragion si scema,
Son l’estremo cordoglio e l’allegrezza estrema.
Sfogati, cuor ritroso. Di lei che non ha eguale,
Canta, ragiona, scrivi, falle onor: Madrigale. (scrivendo)
     Cantava, in riva al fiume,
     Tirsi, d’Eleonora,
     E rispondean le selve e l’onde, onora,
     E l’acque insieme e i rami:
     Or chi fia che l’onori, e che non l’ami?

Sotto il nome di Tirsi canto d’Eleonora;
Fingo che in vane parti l’Eco risponda: onora.
Se questi versi miei la luce un dì vedranno,
I critici indiscreti che diran? che faranno?
Coi lirici miei carmi seguiranno il sistema
Con l’epico tenuto mio sudato poema?
Cara Gerusalemme, cara mia Liberata,
Epiteto novello avrai di Conquistata?
Sì, questa il mondo vegga sperienza d’intelletto
Formar nuovo poema sullo stesso soggetto.
E i critici sien paghi d’aver coi lor clamori,
Turbati i miei riposi, spremuti i miei sudori.
Stanza del canto quinto, ch’ora del sesto è terza,
Negli ultimi due versi dai critici si sferza:
     «Che nel mondo mutabile e leggiero,
     «Costanza è spesso il variar pensiero.
Dicasi, che nel secol mutabile e leggiero,