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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/399

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LA BUONA FAMIGLIA 393


Raimondo. Tornerò in un’ora più comoda. (Aspetterò ch’egli non vi sia in casa, e farò ben io in modo che la signora mi dovrà mostrare le gioje mie). (da sè, e parte)

Fabrizio. (Dopo essersi allontanato da Raimondo) Escile di qua una volta. (ad Angiola allo studiolo)

Angiola. Un poco di acqua, per carità.

Fabrizio. Non c’è acqua, signora. Favorite andarvene, che mi par tempo.

Angiola. Così me ne fossi andata prima; ne ho sentite di belle, e ho dovuto affogarmi per non poter rispondere.

Fabrizio. Vostro danno. Partite, ve lo domando per carità.

Angiola. Parto sì. Se ci torno più in questa casa, mi porti il diavolo. (parte)

Fabrizio. Che cosa ha meco mia moglie? Viene qui quando io non ci sono. Parte quando io sopraggiungo. La chiamo, e non mi risponde. Ho de’ sospetti in capo. Nardo. (chiama)

Nardo. Signore.

Fabrizio. Di’ al signor padre, che favorisca venire un poco da me, se si contenta.

Nardo. Non c’è, signore, in casa.

Fabrizio. Non c’è? Dov’è andato a quest’ora?

Nardo. L’intesi dire che andava dal maestro del signor Cecchino, non so a che fare.

Fabrizio. Pazienza. Non occorr’altro. Va pure, gli parlerò quando torna. No, dammi il cappello e la spada. Anderò ad incontrarlo. (parte)

Nardo. Mi pare sempre più s’intorbidi il tempo1. Oh, chi l’avrebbe mai detto? Il padrone ha rimpiattato la signor’Angiola, perchè non fosse veduta. E non s’ha da mormorare per questo? Io non dico di mormorare; ma vado subito subito a raccontarlo a Lisetta. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.



  1. Guibert-Orgeas, Zatta ecc.: nembo.