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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/196

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190 ATTO TERZO


Eraclio. Qual è la minestra che più vi piace?

Carlotta. Maccheroni, fagiuoli, cose di più sostanza.

Conte. (Mi vuol far disperare costei). (da sè)

Claudia. È molto delicata di gusto. (ironico)

Carlotta. Quando ho mangiata una buona minestra, non ci penso di altro.

Conte. Le avvezzano così nel ritiro.

Carlotta. Datemi da bevere.

Dottore. Così presto?

Carlotta. Si beve quando si ha sete, in villa da noi.

Conte. (Non ce la conduco più per un pezzo). (da sè) (servitore porta i capponi)

Eraclio. Ecco i capponi; Conte, ecco i capponi. Eccoli, signor Dottore.

Carlotta. Anche da noi se ne mangiano di questi.

Eraclio. Sapete trinciare voi? (al Conte)

Conte. Non ho grande abilità, per dirla.

Eraclio. Voi, Dottore, sapete trinciare?

Dottore. Non signore, dispensatemi.

Carlotta. Che vuol dir trinciare?

Eraclio. Tagliare, far le parti, spezzare.

Carlotta. Nessuno sa far le parti, nessuno sa spezzare di voi? Siete bene ignoranti; taglierò io.

Conte. Eh via, non fate di queste scene...

Carlotta. Sentite che caro signor fratello! Pare ch’io non sappia far niente. Ci vuol tanto a spezzare un cappone? Si fa così da noi. (prende il cappone per romperlo colle mani)

Conte. Fermatevi, dico.

Eraclio. Non me lo rovinate. (leva il piatto)

Claudia. Che sorta di educazione ha avuto vostra sorella?

Conte. La Contessa sua madre ha creduto far bene a porla sotto la direzione di alcune vecchie sue zie; ecco il profitto che ne ha ricavato.

Claudia. Par impossibile ch’ella sia nata con civiltà.

Metilde. Quando sarà mia cognata, le insegnerò io il costume civile.