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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/424

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416 ATTO SOLO


Cavaliere. Questi sono discorsi inutili. Mi preme la sposa, ve la domando per quell’autorità che sopra di essa vi concede la parentela, e non avete a dirmi di no.

Ambrogio. Ho detto di sì, mi pare; e torno a dirvi di sì un’altra volta; e se non vi sono altre difficoltà che questa, contate pure sopra il mio pienissimo consentimento.

Cavaliere. Voi mi consolate, voi mi mettete in giubbilo: caro il mio don Ambrogio, permettetemi, in segno di vero amore. (gli dà un bacio)

Ambrogio. Volete che facciamo fra voi e me (prima di parlare con donna Eugenia), volete che facciamo quattro righe di scritturetta?

Cavaliere. Per la dote forse?

Ambrogio. Sì, sul proposito della dote. Poniamo in carta l’eroismo del vostro amore.

Cavaliere. Subito. In qual maniera?

Ambrogio. Una picciola protesta, che v’intendete di volere la sposa senza pretension della dote.

Cavaliere. Se ne offenderà donna Eugenia.

Ambrogio. Lasciate accomodare a me la faccenda.

Cavaliere. Ella può pretenderla senza di me.

Ambrogio. Andiamo dal mio procuratore: troverà egli un buon mezzo termine per ridur la cosa legale.

Cavaliere. Si parlerà poi di questo. Andiamo subito da donna Eugenia.

Ambrogio. No, un passo alla volta.

Cavaliere. Un passo alla volta. Prima quel della sposa.

Ambrogio. Prima quello della rinunzia.

Cavaliere. Bravo, don Ambrogio; voi siete il più spiritoso talento di tutto il mondo.

Ambrogio. Cavaliere garbato, andiamo; ci spicciamo in meno di un’ora.

Cavaliere. Oh, mi sovviene ora di un picciolo impegno. Sono aspettato in piazza. Sarò da voi quanto prima.

Ambrogio. Verrò con voi, se volete.

Cavaliere. Non vi vo’ dar quest’incomodo. Ci rivedremo.