Conte. Dirò: s’ella si cangia, son cavaliere onesto;
Non voglio d’una dama sprezzare il pentimento.
Alberto. Tornereu?
Conte. Perchè no?
Alberto. Ma per divertimento.
Conte. Non so; potrebbe darsi; sentiam quel che dirà.
Alberto. (Che el fazza pur el franco. Oh, se el ghe cascherà!)
Conte. Che hai, caro Frugnolo, che sei oltre l’usato
Stamane melanconico?
Frugnolo. Signor, son disperato.
Ieri sera nel correre ho rotto i miei scarpini;
E non ho, poveraccio, nè scarpe, nè quattrini.
Alberto. Oh che baron!
Conte. Don Mauro non ti dà il tuo salario?
Frugnolo. Me lo dà, ma si contano i giorni sul lunario.
Conte. Che vuol dir? non capisco.
Frugnolo. Vuol dir, ch’egli è cortese.
Ma non mi dà un quattrino, se non finisce il mese.
Alberto. Sentìu che raccoletta?
Conte. Ma la villeggiatura
Non frutta degl’incerti?
Frugnolo. Eh sì, qualche freddura.
Conte. Per esempio, quei paoli ch’io ti donai sovente,
Sono pel tuo gran merito una cosa da niente.
Frugnolo. Vossignoria illustrissima m’ha sempre fatto grazia.
Alberto. E i mi mezzi ducati, coss’èi, sior malagrazia?
Frugnolo. I ducati che spesso mi diè vossignoria,
Il leon colle ali me li ha portati via.
Alberto. Eh galiotto!
Frugnolo. Davvero ci penso e mi confondo.
Son sempre senza un soldo, e non ho un vizio al mondo.
Alberto. Ma vardè che desgrazia!
Conte. Vien qui; narraci un poco.
Come impieghi le ore?
Frugnolo. Eh, mi diverto al gioco.