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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/46

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40 ATTO PRIMO


Florida. Ch’io sappia, non ne ha nessuno.

Paoluccio. È oculata a tal segno? Non vuole che le sue inclinazioni traspirino? (verso donna Lavinia)

Lavinia. Arguisco dal vostro modo di dire, che giudicate in altri impossibile quella costanza di cui non siete capace.

Paoluccio. Facciamo a parlar chiaro, donna Lavinia. Torno al mio posto, se la piazza è disoccupata; ci ritorno a costo di riceverla dalle mani dell’ultimo posseditore: ma non mi obbligate a comparirvi dinanzi coll’impostura di una fedeltà romanzesca. Sarei stato costante, se avessi creduto necessario di esserlo; ve lo saprei dare ad intendere, se vi credessi pregiudicata a tal segno: ma io tengo per fermo, che la semplice servitù abbia più limitato il confine.

Florida. Dice benissimo. In distanza non obbliga la servitù. Non fa poco, chi si mantiene in vicinanza costante, e mi piace infinitamente quella limitazione di una quindicina di giorni.

Lavinia. Sarebbe meglio per voi, don Paoluccio, che non aveste viaggiato.

Paoluccio. Anzi, compatitemi, io credo d’avermi procurato un gran bene. Oh, se sapeste di quanti pregiudizi liberato mi sono! In proposito dell’amore, ho scoperto de’ grandi errori.

Lavinia. Avrete inteso a dir da per tutto, che l’onore impegna la parola del cavaliere.

Paoluccio. Eh, che non s’interessa l’onore in queste picciole cose.

Florida. Questa è una franchezza ammirabile. Dove l’avete appresa, don Paoluccio?

Paoluccio. Dove l’ho appresa, l’esercitano con troppo fuoco: l’ho temperata sotto un clima più docile. Ho fatto un misto di cose, che qualche volta mi hanno fatto del bene. Spero non mi renderanno indegno della grazia di donna Lavinia.

Lavinia. Per quindici giorni non prendo impegno.

Florida. È meglio quindici giorni di servitù polita, che un anno di servitù male aggraziata.

Paoluccio. Signora, voi avete sopra di me l’antico potere. La mia soggezione sarà illimitata.