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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/67

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LA VILLEGGIATURA 61


Menichina. Non ci sono stata ancora in città io; mia madre non mi ci vuol condurre.

Libera. Perchè non vi vuol condurre?

Menichina. Dice così, che le pietre della città scottano e bruciano per noi altre.

Libera. Per dirla, non dice male. E si trovano certi tali...

Menichina. E chi sono?

Libera. Sono gente, che quando possono...

Menichina. Che cosa fanno?

Libera. Lo sa ben vostra madre.

Menichina. E voi lo sapete?

Libera. So, e non so. Così, e così...

SCENA XI,

Don Ciccio e dette.

Ciccio. Oimè -, non posso più. Mi sento crepare.

Libera. Che e’è, signor don Ciccio?

Ciccio. Ho mangiato tanto, che non posso più.

Menichina. Sarà stato un bel desinare.

Ciccio. Roba assai, ma tutta cattiva.

Libera. Se la roba era cattiva, perchè ha mangiato tanto?

Ciccio. Perchè, quando ci sono, ci sto. L’appetito ordinariamente non mi serve male.

Menichina. Mi ricordo ancora, quando è venuto da noi il signor don Ciccio. Ha mangiato egli solo quello che doveva servire per tutti gli uomini che crivellavano il grano.

Ciccio. Val più una minestra delle vostre, e un paio di polli grassi, com’erano quelli di quel giorno, che tutto il desinare di oggi. Uno di questi giorni ci vo’ tornare da voi. (alla Menichina) E anche da voi voglio venire, madonna Libera.

Libera. Sarò anche capace di dargli da desinare. Non siamo signori, ma abbiamo il nostro bisogno in casa; abbiamo le nostre posate di stagno, i nostri tondi di terra, la nostra biancheria di lino nuovo.