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158 ATTO QUARTO
Lucio. Volea, pria di stracciarlo, concludere l’istoria.

Berenice. Eh, favellar possiamo, che l’ho tutto a memoria.
Lucio. Dunque di me si dice...
Berenice.   Superfluo è il replicarlo.
Di quel che già leggeste, con fondamento io parlo.
Or che da me tornaste, è ogni rival smentito:
Non resta che vedervi di nuovo stabilito.
Lucio. Qual condizion mi offrite, perchè in impegno io resti?
Berenice. Da me voi non avrete che giusti patti e onesti.
Lucio. A buone condizioni di accomodarmi assento.
Io fo due patti soli, voi fatene anche cento.
Il primo che don Claudio e che don Filiberto
In questa casa vostra non vengano più certo.
Ed accordato il primo, questo sarà il secondo:
Voglio che siate mia, quando cascasse il mondo.
Berenice. Due patti voi faceste, due ne vo’ fare anch’io.
Il primo, in casa mia vo’ fare a modo mio;
Ha da venir don Claudio, verrà don Filiberto,
Che son due cavalieri degnissimi, e di merto.
Secondo: di sposarmi parlar non vo’ sentire,
E tanto e tanto in casa don Lucio ha da venire.
Lucio. Io?
Berenice.   Sì, voi.
Lucio.   Con tai patti?
Berenice.   Con questi patti appunto.
Lucio. V’ingannate di grosso.
Berenice.   Or mi mettete al punto.
Lucio. Credete di don Pippo ch’io abbia l’intelletto?
Berenice. Don Pippo è un galantuomo, portategli rispetto.
Lucio. Tutti di me più degni.
Berenice.   Tutti egualmente io stimo.
E fra color ch’io venero, forse voi siete il primo.
Sì, don Lucio carissimo, avete un non so che,
Che mi obbliga all’estremo, e non so dir perchè.
Non so che non farei per dimostrarvi il cuore,