Nutrice. Non ravvisate in me l’antica balia,
Che il parto della vostra estinta moglie
Raccolse, allora ch’eravate in Bergamo?
Luca. Sì, ti ravviso. Quale affar conduceti?
Nutrice. Morto è il cugino vostro, e la coscienzia
E il timor della morte ora mi stimola
Cosa svelarvi che occultar non devesi.
L’unica prole che il destin benefico
Diedevi allor, e che alla madre il vivere
Costò nel punto che sortio dall’utero,
Spenta non è; ma il cugin vostro, che avido
Nei beni vostri si credea succedere,
Finse sua morte, e di tacere imposemi.
Luca. Ah, sarà ver che mio figliuol sia Panfilo?
Nutrice. Panfilo no, ma Caterina.
Panfilo. (Oh diavolo!)
Nutrice. A custodire a voi sott’altro termine
Diè la fanciulla; ma il cielo, che vendica
Le opre malvagie, i figli suoi carissimi
Un dopo l’altro fe’ mangiar dai vermini.
Non sapea come la figliuola rendere
Al proprio padre; tocco da sinderesi,
E dell’error commesso vergognandosi,
Senza scoprirlo, di partir determina,
E qual pupilla la figliuola tenera
Consegna a voi, perchè si allevi e erediti
I propri beni, che rapir volevansi.
Ecco l’arcano discoperto, e giurovi
Per quanto di più sacro in ciel si venera,
(Giunta assai presso di mia vita al termine,
In cui più chiari del mentir si vedono
I tristi effetti) giuro che veridico
E il labbro mio, e se mentisco, i demoni
Per giustizia del ciel mi sian carnefici.
Luca. Ora intendo l’amor che in seno ardevami