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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/483

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LA VEDOVA SPIRITOSA 475


Ferramondo. Sarei un indiscreto, sarei un incivile qualora non m’appagassi di così onesta ragione. Accetto le vostre grazie, gradisco la bontà di don Berto. Tornerò innanzi sera ad incomodarvi. (saluta tutti, e parte)

SCENA XI.

Don Berto, don Isidoro, donna Placida, e poi Paoluccio.

Isidoro. Brava, brava davvero. Estremamente vi lodo.

Berto. Cara la mia nepote, siete per me così compiacente? Quasi quasi mi dispiace che andiate in un ritiro.

Placida. Voi lo vedete, signore, se in tutto e per tutto desidero soddisfarvi.

Isidoro. Via, caro don Berto, in tavola.

Berto. In tavola (forte verso la scena)

Paoluccio. Signore, è qui il signor don Fausto, che brama di riverirla. (a donna Placida)

Isidoro. Ditegli che ritorni, che ora si va a desinare, (al servitore)

Placida. Fermatevi. (al servitore) non posso dispensarmi dal ricevere il mio avvocato. Quando viene a quest’ora, convien dire che la cosa sia di premura. Chi ha delle liti, ha sempre mai da temere.

Berto. Ha ragion mia nipote.

Isidoro. Maladetti gl’impicci. Le pernici anderanno a male, e il pane abbrustolato si seccherà.

Placida. Signore, vi supplico per grazia, lasciatemi in libertà. (a don Berlo)

Berto. Volete che aspettiamo? (a donna Placida)

Isidoro. Ancora si ha da aspettare? (a don Berto)

Placida. Servitevi, se comandate. Ho un certo affare coll’avvocato, che forse non mi potrò spicciare sì presto.

Isidoro. Sentite? vuole che andiamo a desinare senza di lei. La capite? Via, signor zio gentile; compiacetela la nipote.