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124 ATTO PRIMO
Fabrizio.   Via di qua immantinente.

Roberto. Il mio cuor, la mia sposa.
Fabrizio.   Vattene, impertinente.
Roberto. (Di perdere il mio bene, no, non poss’io soffrire.
Voglio la mia Cammilla a costo di morire).
(da sè, indi parte)
Fabrizio. Schiavo, signori miei.
Ferrante.   Come, signor Fabrizio,
Mandar per così poco l’affare in precipizio?
E voi, signor Gaudenzio, mutolo siete fatto?
Gaudenzio. Non voglio più saperne, e lacero il contratto.
Ho fatto assai finora a avermi trattenuto.
Compatite di grazia, amico, vi saluto. (parte)
Fabrizio. Vergogna, che una donna giungavi a far paura.
Ferrante. Eccomi. A suo dispetto...
Fabrizio.   Stracciata è la scrittura. (parte)
Ferrante. Ma io nella muraglia mi batterei la testa.
Vuol comandar la nuora? che impertinenza è questa?
E mio figlio medesimo cotanto è scimunito.
Che una moglie insolente può renderlo avvilito?
Eh cospetto di bacco, vuò far veder chi sono;
Ma mi confondo anch’io, quando con lei ragiono.
Pacifico fu sempre il mio temperamento.
Colei che lo conosce, mi ha preso il sopravvento.
Rinaldo ch’è mio figlio, anch’ei va colle buone,
E dubito ch’egli abbia paura del bastone.
Finora delle risse abbiam sfuggito il tedio.
Ora che il male è fatto, difficile è il rimedio.
Della bontà soverchia, eccolo qui il bel frutto:
La femmina orgogliosa vuol contradire a tutto.
Vorrei di queste donne averne un centinaio,
E come la triacca pestarle in un mortaio. (parte)