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LO SPIRITO DI CONTRADIZIONE 125

SCENA III.

Altra camera.

Dorotea e Cammilla.

Dorotea. Cognata, io non intendo con voi giustificarmi.

Vi amo, vi ho sempre amato, nè mai saprò cangiarmi.
Se ho detto qualche cosa circa al vostro contratto,
Per me non solamente, ma anche per voi l’ho fatto.
Che razza di giustizia è questa che ci fanno?
Stupisco delle donne, che stolide ci stanno.
Un padre a suo talento promette per la figlia;
Un marito, obbligandosi, la moglie non consiglia.
Pretendono disporre con piena autorità.
Senza voler attendere la nostra volontà.
In quanto a me, certissimo, vuò dire il parer mio.
Se portano i calzoni, li so portare anch’io.
Cammilla. In sostanza, cognata, per quello che mi dite,
Il contratto di nozze finito è in una lite.
Dorotea. La ragion, la giustizia, dalla violenza è oppressa.
Cosa avereste fatto nel caso mio voi stessa?
Cammilla. Col padre e col fratello il mio dover lo so.
S’essi di me dispongono, perchè ho da dir di no?
Dorotea. Vi par che sia ben fatto prendere tempo un anno?
Cammilla. Se così han stabilito, sapran perchè lo fanno.
Dorotea. E vogliono in quest’anno cacciarvi in un ritiro.
Cammilla. Vi andrò volontierissima, senza trarre un sospiro.
Dorotea. Con questa vostra flemma voi mi fareste dire.
Far tutto quel che vogliono, senza mai contradire?
È segno che Roberto pochissimo vi piace.
Cammilla. L’amo il signor Roberto, ma bramo la mia pace.
So che vi son d’incomodo, cognata mia, lo vedo;
L’incomodo maggiore per l’avvenir prevedo.
Allor ch’io fossi sposa, a me, per quanto lice.
Dovreste far le veci di madre e di tutrice.